L'ex viola Brocchi: "Non allenerò più. E' un mondo in cui do troppo di più rispetto a quanto ricevo"
L'ex centrocampista viola ha allenato Milan, Monza, Brescia e Vicenza, ha detto basta: "Ho dimostrato di essere bravo, ma..."
Non era solo la battuta su una maglietta: “Brocchi si nasce, campioni si diventa”. Era uno stile di vita, un modo di pensare, un messaggio per tutti. «Al mondo ci sono più brocchi che Messi o Ronaldo. Non è semplice arrivare al vertice.
La grinta e la volontà aiutano tantissimo. In ogni allenamento io ho cercato di dare qualcosa in più degli altri». La storia di Cristian Brocchi è fatta di passione e sudore. Così parla a La Gazzetta dello Sport: «Sono partito da Buccinasco senza una lira e ho vinto due Champions.
Mi sentii giocatore vero solo dopo la prima stagione in A con il Verona. Il campionato era bellissimo, ogni squadra aveva il suo nucleo italiano. Adesso rabbrividisco quando vedo formazioni con dieci o undici stranieri. Avevo tante richieste, andai all’Inter dove vissi la stagione peggiore della carriera a causa di un problema alla schiena che mi fermò per tanti mesi».
Una presenza in azzurro. Poco? «Sì, ma anche normale. Mi infortunai all’Inter poco prima di una convocazione. Poi, ai tempi del Milan, non essendo titolare era più dura. A Firenze ero in forma e Lippi mi disse che sarei stato chiamato se si fosse fatto male qualcuno: era l’anno del Mondiale...».
Non si poteva dire di no alla panchina del Milan? «L’avevo già detto l’anno prima, quella sera non era possibile. Quando entravi ad Arcore, l’emozione era forte. C’era un’aria particolare. Uscivi da lì ed eri un leone. Berlusconi aveva la capacità di farti sentire in grado di conquistare il mondo.
Subentrai a Mihajlovic e il piano era che avrei anche iniziato la stagione seguente. Girò male perché perdemmo ai supplementari per il gol di Morata la finale di Coppa Italia contro la Juve, pur giocando bene. Se avessimo vinto quella sera, la mia storia sarebbe stata diversa».
La promozione con il Monza dalla C alla B le ha consentito di ripagare la fiducia di Berlusconi e Galliani? «Sì, anche se avrei voluto completare il lavoro con il doppio salto. Invece in B perdemmo ai playoff. Se Galliani non si fosse ammalato di Covid e non avesse vissuto un mese molto difficile, saremmo andati in A.
Eravamo tutti preoccupati per lui e la sua assenza ebbe un peso specifico importante anche sulla squadra: Galliani è tra i due o tre dirigenti più bravi al mondo. La sua presenza sposta tanto». Lei ha conosciuto da vicino Ancelotti, Lippi, Prandelli, Capello.
Ottimi maestri. «Ho imparato tanto. Come legge le partite Capello, nessuno. Prandelli preparava le gare in modo unico. Ancelotti ha tutte le componenti: tecnico, padre, amico, fratello, compagno. Lippi creava certezze, ti dava la consapevolezza di essere forte: ti chiedeva solo tre cose, ma dovevi farle bene».
Nel futuro di Brocchi cosa c’è? «Ho tanto da trasmettere, da insegnare. Ma non in panchina: non allenerò più. Questo è un mondo in cui umanamente do troppo di più rispetto a quello che ricevo. Io ho dimostrato di essere bravo e me lo dico da solo proprio perché ho voltato pagina.
Non ho più voglia di buttarmi in situazioni disperate. Pochi mesi fa c’era stata una possibilità in A e ho sentito un fuoco dentro incredibile. Ma non si è concretizzata. E mi sono concentrato sui ragazzi: io li amo, mi piace stare a contatto con i giovani.
Faccio masterclass con il gruppo Pegaso. L’ultima era rivolta a studenti di Scienze motorie che vorrebbero entrare nello staff di una squadra di calcio».
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