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Venuti: "Servirebbe una patente di civiltà per i social. Mio padre e il tumore..."

Il terzino dopo gli insulti sui social: "Sento l'affetto di Firenze. Non voglio passare per vittimina, ma quando gli insulti parlano di morte, di tumori, non ci sto"

Sul Corriere dello Sport - Stadio intervista di Ivan Zazzaroni a Lorenzo Venuti, sulla denuncia dei vergognosi messaggi social ricevuti: «Non voglio passare per la vittimina, il leggerino, per colpa di un deficiente, di un coglione, o due o tre che si divertono a offendere sui social, anche perché ogni giorno vengo coperto d’affetto da migliaia di tifosi.

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L’amore di Firenze lo sento sulla pelle, però… Ho deciso di rendere pubblica la denuncia perché si era oltrepassato il limite della decenza. Ma anche e soprattutto perché quel soggettino non si è limitato a colpire me, ha voluto mostrare tutti i suoi limiti cognitivi e di educazione sul profilo Instagram della mia compagna».

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IL TUMORE. «Tanti, di fronte a aggressioni simili, preferiscono tacere. Augusta non ce l’ha fatta, io non ce l’ho fatta, mi sono esposto per lei e per tutte le persone che ogni giorno le subiscono. Non so nemmeno se si tratti di un tifoso della Fiorentina, ho grossi dubbi.

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Se si fosse accontentato di prendersela con me, per via delle centinaia di messaggi che ricevo ogni giorno probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto... Ma “il tuo ragazzo è un cancrato”, “spero che muoia” e “verrò al suo funerale e piscerò sulla bara” - solo alcuni dei commenti postati sul profilo di Augusta - non meritano l’indifferenza, sono veleno.

Io, come i tanti che hanno avuto a che fare con persone malate di cancro, so perfettamente cosa significa il contatto col dolore. Sono stato un mese in ospedale ad assistere mio padre alle prese col tumore e quel terribile periodo ha aumentato a dismisura la mia sensibilità».

GLI EFFETTI DELLA DENUNCIA. «Ma io vorrei che chi si permette di scendere fino a quel livello fosse obbligato a frequentare per settimane gli ospedali, toccasse con mano la sofferenza dell’altro. In un mondo normale si istituirebbero dei percorsi rieducativi e la patente di civiltà per l’accesso ai social, che moltiplicano il contatto con gli altri, ma il cui prezzo a volte è salatissimo.

La mia è una ribellione fredda, ha poco di istintivo». PARLARE NELLO SPOGLIATOIO DEI SOCIAL. Ne avete mai parlato nello spogliatoio di questi messaggi? «Mai di squadra. Forse una policy societaria potrebbe risultare utile, visto quel che accade ogni giorno in rete.

Alle critiche sono abituato, anche a quelle più pesanti, le ho messe in conto, essendo un calciatore professionista. Mio padre, idraulico, aveva meno problemi di questo genere. A tutto c’è, ci deve essere, un limite. Ripeto una volta di più quello che ho scritto giorni fa, non me ne frega niente delle critiche mosse al calciatore.

Anzi, sono aperto a farne tesoro per migliorare, ma quando gli insulti parlano di morte, di tumori, non ci sto. Certi fenomeni non sanno cosa comporti anche emotivamente la malattia, ciò che si vede dentro i reparti di oncologia.

Insulti razzisti e territoriali sono la ciliegina sulla torta che qualifica le persone che sono. Vorrei solo che prima di cominciare a scrivere da dietro una tastiera si fermassero un momento a pensare e valutare se ne vale davvero la pena».

 


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