Saponara: "A Firenze 7 anni speciali, mi sono sentito amato come uomo. Astori un riferimento"
Le parole di Ricky: "Sono svincolato, intanto studio calcio: da Italiano a De Zerbi. A Davide devo un viaggio in Giappone"
Su La Gazzetta dello Sport bella intervista a Riccardo Saponara. A 33 anni, a che punto del percorso siamo? «Attualmente sono svincolato: ho risolto da qualche settimana il contratto con l’Ankaragucu e ora aspetto l’estate per valutare nuove opportunità per ripartire».
Com’è nata la possibilità di andare a giocare in Turchia? «Da anni volevo fare un’esperienza all’estero: a gennaio 2024 mi ha chiamato Emre (l’ex Inter, ndr ) all’epoca allenatore dell’Ankaragucu e non ci ho pensato due volte.
Lo conoscevo di fama prima, poi l’ho ritrovato da avversario in Conference con la Fiorentina quando allenava il Basaksehir. Era rimasto colpito da me e mi ha voluto con sé». E poi com’è andata? «Umanamente una grande esperienza.
Calcisticamente una delusione: retrocessione, ambiente caotico, progetto confuso. Peccato». E adesso? «Mi prendo questi tre mesi per allenarmi e intanto studio calcio. Dal Bologna di Italiano, mio ex allenatore, al Marsiglia di De Zerbi.
Ma anche Como e Barça: rivedo le partite su Wyscout». Un grande assist gliel’ha fatto un vecchio amico: Sarri. In una recente intervista al Corriere ha indicato lei come uno dei più forti mai allenati. «Onestamente non me lo sarei mai aspettato, pensando a tutti i campioni con cui ha lavorato negli anni.
Però riconosco che tra noi il feeling è scattato subito: è bastato un solo allenamento. Empoli, estate 2012, alla prima seduta della preparazione estiva, dopo una serie di brevi esercizi col pallone, si avvicinò e mi disse: “Tu avrai una carriera importante”.
Non capivo, neanche sapeva il mio nome. Pochi mesi dopo firmavo con il Milan... Sarri tirava fuori il meglio da tutti e ha cambiato la mentalità della squadra. Come ha fatto a Napoli». Già, Napoli. Poteva esserci anche lei… «Maurizio mi aveva chiamato, ne parlai con l’Empoli e preferii restare: avevo bisogno di giocare.
Sicuramente è stato un crocevia della mia carriera, ma in quel momento ero convinto di aver preso la decisione giusta». Vlahovic a Firenze la chiamava “Il Professore”… (Ride, ndr ) «Dusan mi ha dato un sacco di nomignoli: “prof”, “maestro”, “pittore”.
A Firenze ero più maturo, avevo lavorato su me stesso anche a livello terapeutico e credo di aver lasciato qualcosa». Lei e Astori, due leader di quella Fiorentina. «Ogni giorno mi rendo conto dell’impatto che ha avuto sulla mia vita e su quella di tutta la squadra.
Un punto di riferimento non solo per lo spogliatoio, ma per l’intera città». Una città che l’ha adottata e che ormai sente sua. «Sono stati 7 anni speciali, mi sono sentito amato e apprezzato come uomo, prima ancora che come calciatore.
Ci torno spesso, ho ancora casa e adoro tutto di questa città, soprattutto i musei. Diciamo che a Firenze è venuto naturale sviluppare l’altra mia altra grande passione: l’arte». In quale periodo artistico inquadrerebbe la sua carriera da calciatore?
«Direi l’astrattismo: da giocatore avevo schizzi di talento, istinto, ma poca continuità di rendimento. Sono appassionato di Georges Mathieu e della scuola francese del dopoguerra». Il sogno da realizzare, calcio a parte? «Un viaggio in Giappone, ne parlavo sempre con Davide Astori che ci era stato con la sua famiglia.
Glielo devo».
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