Franchi, il "Granduca di Toscana", gestiva il potere con garbo, mai prepotente
Italo Cucci ricorda uno dei più grandi, se non il più grande, dirigente del calcio italiano nel centenario della sua nascita
«Come ha detto Franchi…». Sono cresciuto così, a Stadio, nei primi Sessanta, ascoltando l’eco delle parole di Artemio. Un nome che solleticava la fantasia del collega Albertazzi fino a quando gli rivelai ch’era semplicemente il maschile di Artemide Diana, la dea della caccia.
Già nell’ambiente era definito il nuovo Granduca di Toscana. Erede non tanto di Leopoldo Pietro ma di Luigi Ridolfi, l’inventore di Coverciano. Il nume tutelare del calcio toscano, e lo si candidava ad ogni ruolo di potere anche se aveva cominciato da arbitro, e non di fama.
«Come ha detto Franchi…» era l’incipit abituale dei discorsi di Ugo Cestani da Gallarate, serioso leader della C. Quando convocava riunioni o capeggiava le missioni della Nazionale Semipro guidata dal “Gallo” fiorentino Giuseppe Galluzzi, insofferente maestro di calcio che amava litigare con Renato Dall’Ara il quale gli rimproverava atteggiamenti misogini.
E un giorno dissi a Cestani: «Me lo fa conoscere, Franchi? ». Come se gli avessi fatto un regalo. Tre giorni dopo ero a Badia a Settimo, uscita dell’autostrada a Firenze Sud, un grande centro di distribuzione carburanti - la Petrolifera Angelo Bruzzi - una palazzina, un ufficio, una scrivania, una poltrona, Artemio Franchi.
Gli ultimi due oggetti per sempre, in Italia e in Europa, ma gli piaceva sedere lí, ricevere lí, irradiare di lí il potere calcistico che dunque arrivava non prepotente, quasi garbato. Quanto lo era lui che per mia fortuna ricordo sempre sorridente, accogliente.
Nonostante l’aria vagamente satireggiante che lo faceva somigliante a certe figure della mia piccola enciclopedia di Diderot.
La prima intervista fu limitata alla Serie C
Allora campionato di qualità ch’era un vivaio per la Serie A. Così come la Nazionale Semipro era il vivaio dei Moschettieri in cui aveva esordito in azzurro Rivera e Riva aveva realizzato il suo primo gol. Da quell’intervista nacque un legame annoso e felice lanciato con poche parole: «Quando ha dei dubbi mi chiami».
E quante volte lo chiamai facendo tesoro dei suoi consigli e al tempo stesso discutendoli. Ricambiai l’amicizia difendendolo a spada tratta quando gli inglesi (e certi italianuzzi) montarono uno scandalo per farlo fuori. Un famoso giornalista inglese, Brian Glanville, già mio amico e collaboratore, accusò Franchi di avere aiutato il grande general manager dell’Inter e della Juventus, Italo Allodi, e il faccendiere ungherese Dezso Solti, a corrompere gli arbitri internazionali per favorire squadre italiane, inclusa la rappresentativa nazionale, durante gli anni Sessanta e Settanta.
Le accuse caddero in sede giudiziaria. Anni dopo, in una intervista rilasciata al quotidiano argentino La Nación, l’ex Presidente della Fifa Joseph Blatter accusò Franchi di aver truccato nel passato alcuni sorteggi di tornei con lo stratagemma delle palline fredde o calde, in realtà presunto scandalo di Italia 90.
Va ricordato che Blatter era entrato nella Fifa nel 1977, diventandone il direttore tecnico fino al 1981 e successivamente il segretario generale, carica che ha ricoperto fino al 1998, anno della sua elezione alla presidenza come successore di João Havelange.
Il peggio del peggio. Continuai a seguire l’irresistibile ascesa di Franchi, finché dopo vent’anni dal primo incontro arrivammo al fatale traguardo. Bearzot era riuscito faticosamente a costruire una Nazionale per Spagna 82, chiamiamola l’Italia di Paolo Rossi osteggiata dalla critica e dalla politica, dai benpensanti e dagli incompetenti spesso associati proprio perché Paolo rappresentava meglio d’altri, ingiustamente, il travaglio del Calcioscommesse.
Sul Guerin Sportivo avevo assunto un atteggiamento secondo tanti demenziale perché sostenevo che avremmo vinto il Mundial, ero trattato come lo scemo del villaggio e ne approfittai: un giorno telefonai a Franchi, «Presidente, deve farmi una promessa…».
«Mi dica…». «Se vinciamo il Mondiale deve dare un’amnistia ai ragazzi trascinati nello scandalo del calcioscommesse e ad altri personaggi del passato spesso condannati a furor di popolo ma con troppa facilità, a cominciare da Romeo Anconetani…».
Per un po’ il telefono tacque, poi fui travolto da una risata squillante ma affettuosa: «… se vinciamo il Mondiale - e una ridarella stava soffocandolo - la firmo subito, l’amnistia… Guardi, glielo metto per iscritto, venga a trovarmi e la metto su carta bollata…».
Soffocando mi salutò. Anche lui credeva che io fossi ammattito. Ci risentimmo all’indomani del trionfo condiviso perché mentre ai vertici federali tutti - dico tutti - avevano tradito Bearzot, salvo abbracciarlo dopo la vittoria, Artemio Franchi fu sempre vicino agli azzurri.
Insieme a un altro presidente, tale Sandro Pertini.
La dichiarazione firmata di Artemio non l’ho mai avuta perché non ci vedemmo più
E troppo presto morí per il suo vero grande amore, il Palio di Siena - era Capitano della Contrada della Torre - ma l’amnistia fu concessa. Ho appena riletto commosso la lettera aperta che indirizzai a Franchi dopo la sghignazzante telefonata recuperando in pieno lo spirito di Franchi il riformatore, Franchi il decisionista, Franchi il presidentedell’Uefa che un giorno affrontò il pari grado della Fifa, João Havelange - giustamente ricordato come grande nuotatore - deciso a rivedere i Mondiali in favore dell’Africa dove contava i suoi grandi elettori, e gli espresse tutta la sua contrarietà.
Alle insistenze del brasiliano, Franchi lo mise a tacere con una audace minaccia: «E allora noi ci faremo un Mondiale europeo invitando Argentina, Brasile e Uruguay…Il meglio del calcio mondiale siamo noi». Con l’aria che tira sono sicuro che il potentissimo Artemio avrebbe impedito in qualche modo l’esclusione dell’Italia dal Mondiale del Qatar, magari ricordando come il Qatar ha ottenuto l’organizzazione del prossimo Mondiale…invernale.
Gioco sporco? Ma c’è qualcosa di più sporco degli intrighi franco-svizzeri-arabi?



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