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Aquilani: "In Italia serve più coraggio, ma vedo pochi fenomeni. Le mie squadre..."

L'allenatore dei giovani della Fiorentina parla del calcio italiano, di seconde squadre e della distanza tra Primavera e professionisti"

Alberto Aquilani, allenatore della Primavera viola, ha parlato all'edizione nazionale de La Repubblica: «Le vittorie fanno piacere, ma sono i ragazzi a farmi capire se sto lavorando come vorrei: credono a quello che gli racconti, ti seguono.

Giocatori che ho allenato l’anno scorso mi chiamano per dirmi che si portano dietro i miei consigli. Uno di loro mi ha telefonato in un momento di difficoltà nel calcio dei grandi, perché vive fuori casa e sa che ho vissuto lo stesso.

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Queste cose non le vedi, a differenza di una coppa, ma valgono molto più».

Perché il campionato Primavera non ti forma per la Serie A. A meno che tu non sia proprio un fenomeno. Ma io tutti questi fenomeni, in Italia, non li vedo». E che soluzione introdurrebbe? «Una categoria intermedia: magari le seconde squadre.

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All’estero quando giocavo contro i ragazzi della seconda squadra vedevo ragazzi che erano già quasi uomini. In Italia i ragazzi delle Primavere sono lontanissimi dal livello dei professionisti, e un allenatore si accorge che i ragazzi sono acerbi».

MODELLO DI ALLENATORE. «Non credo nei modelli: il copia e incolla nel calcio non esiste, non puoi replicare i concetti. C’è qualche allenatore che mi piace di più. Non mi piace l’ossessione del risultato invece: se vinci una partita sei bravo, se perdi sei scarso».

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Quindi è un “giochista”? «A me piace che le mie squadre corrano in avanti e non indietro, preparo le partite per far cose che ritengo possano darmi vantaggi. Ma ho imparato che pensi di sapere una cosa e poi il campo ti dice altro».

PRIMAVERA. Come mai ha iniziato con una Primavera? «Intanto per questioni di patentini. Ma per me era essenziale partire dai giovani, perché avevo bisogno di approfondire, sperimentare. Altri magari ricevono proposte molto importanti e si fanno tentare, lo capisco eccome, ma non andava bene per me».


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