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Corvino: "Crisi di talenti in Italia? La spiegazione è semplice: mancano le strutture"

Le dichiarazioni dell'ex dirigente gigliato sulla situazione in Italia dei settori giovanili e della crisi di talenti

Pantaleo Corvino, ex dirigente della Fiorentina e attuale direttore generale dell'area tecnica del Lecce, ha rilasciato un'intervista sulle pagine de La Stampa per parlare della situazione in Italia dei settori giovanili e della crisi di talenti.

Queste le sue dichiarazioni: Corvino, che cosa pensa della crisi di talenti italiani denunciata dal ct Roberto Mancini? «Che il calcio è fatto di cicli. E abbiamo avuto momenti migliori. Concordo, ma non mi meraviglio». Come mai?

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«Perché la spiegazione è semplice: in Italia mancano le strutture. E così da sempre, ma prima sopperiva la strada e il calcio era lo sport di tutti i bambini: oggi ci sono tante discipline e non si improvvisano più partitelle nel verde o sull'asfalto».

Quindi lei non punta il dito su allenamenti lacunosi e tatticismi esasperati? «Se anche fossero problemi, sarebbero secondari. Quello principale è nitido. Io posso avere il miglior pilota del mondo, ma senza un'auto come fa a dimostrarlo?

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La verità è che quasi tutti i presidenti vedono il settore giovanile come un costo e non come un investimento. E la Federazione non ha mai imposto di dotarsi di impianti adeguati e destinare una percentuale del fatturato ai vivai».

Buoni esempi, in realtà, non mancano. Ma appartengono quasi tutti al calcio d'élite. Guardate invece la base: la Serie D, la C, anche la provincia dei campionati più importanti. A volte, su un campo, si allenano tre squadre...»

Il suo Lecce Primavera è zeppo di stranieri.

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«Tutte le società hanno l'obiettivo di formare calciatori per la prima squadra. La nazionalità non è determinante, ma poiché non posso competere economicamente con i grandi club batto mercati alternativi, vado nei Paesi dell'Est e del Nord Europa.

Ho scovato promesse in Islanda, Norvegia, Danimarca, Irlanda, Romania, Slovacchia, Slovenia».

Quindi non siamo davanti a uno specchio della povertà di talenti made in Italy? «Solo in parte. Perché sui pochi che sbocciano, nel contesto poco fertile che ho descritto, arrivi sempre dopo i grandi club: meglio, arrivi anche prima ma devi arrenderti comunque alle offerte superiori, a una disparità finanziaria incolmabile.

La Juventus ha investito quasi 3 milioni su Mancini, stellina del Vicenza, Lega Pro: io non potrei mai farlo».

Non resta che attraversare i confini. «L'unico modo per costruire il futuro resistendo alla concorrenza impari dei grandi club: quel poco che c'è in giro lo rastrellano loro attraverso progetti ambiziosi e risorse superiori».

Come la tattica, che può offocarne alcuni ed esaltarne altri, può essere legata a mode del momento: quante volte, a turni trequartisti, ali o registi sono stati accantonati e poi riscoperti? Resta il problema fondo: si è persa quella grande palestra che era la strada e non abbiamo strutture idonee a formare calciatori».


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