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Prandelli: "Cacciavo Mutu dagli allenamenti ma in campo non tradiva mai. Bonaventura giocatore chiave"

L'ex tecnico della Fiorentina: "Bonaventura giocatore simbolo dei viola. Ha fatto una stagione pazzesca tecnicamente e come leader"

«Ho sentito disagio, un muro di silenzio. Ho capito che avevo bisogno di staccare. Ora però è passata e seguo sempre il calcio con passione». Cesare Prandelli, scrive la Gazzetta dello Sport che lo ha intervistato, è stato l’ultimo c.t.

che ci ha porta a un Mondiale. Il filo, allora, lo facciamo partire da qui. Cesare, vi manchiamo dal 2014. Come spiegherebbe il Mondiale a un ragazzino che nel 2026 avrà 12 anni e non ha mai visto l’Italia parteciparvi? «Gli direi che è la cosa più bella che ci sia.

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Racconterei come l’ho vissuto io nel 1970. Non vedevo l’ora. Poi uscivo in strada e provavo a rigiocare le partite viste in tv. Quando trasmetti la capacità di sognare hai già vinto. Allora c’era più partecipazione. Le dico solo che quando Gigi Riva in Nazionale veniva nella stanza, io e il mio staff ci alzavamo in piedi, mettendolo persino in imbarazzo.

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L’azzurro univa tutti. Ora invece si tifa solo per i club». E perché? «Perché la Figc e la Lega sono come mamma e papà: se vanno d’accordo trasmettono messaggi positivi, se hanno contrasti diventa naturale che si seguano solo i club e solo se vinci tutti salgono sul carro.

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Vince la faziosità». Galliani ha detto un Pallone d’Oro non giocherà più in Italia per tanti anni. «Quando uno come lui dice cose del genere fa riflettere. Forse i fenomeni saranno ancora all’estero per alcuni anni, eppure il calcio italiano tanto bistrattato ha dimostrato di poter competere ad alto livello.

Il materiale c’è». Però ci siamo fermati. «Sì, da quando abbiamo cominciato a dire che tatticamente eravamo i più bravi del mondo. La tattica va bene, ma non basta. Io fino ai 15 anni la abolirei. Si dice che non abbiamo più cannonieri: ma come sono cresciuti?

A 7-8 anni gli si chiede di fare la sponda, di fare l’appoggio. L’area di rigore deve essere la loro casa. Se non alleni il talento, lo perdi». Tre italiane finaliste nelle Coppe: è un miracolo o no? «No, non lo è. Vuol dire che hanno strutture societarie e tecniche capaci.

Bisogna ripartire da lì. Penso a tre giocatori simbolo. Barella per l’Inter: ha spirito, carattere e determinazione da protagonista. Bonaventura per la Fiorentina: ha fatto una stagione pazzesca tecnicamente e come leader. Dybala per la Roma: se lo avesse avuto al 100% tutto l’anno avrebbe fatto qualcosa di straordinario.

Puoi avere mille schemi, ma lui ti dà la cosa più importante nel calcio: l’imprevedibilità». Si parlato spesso di “bad boys”. Gente che avrebbe potuto fare di più in carriera. Le è capitato di vedere il contrario, cioè ragazzi che stavano per perdersi e invece si sono rimessi in carreggiata?

«Molti di più. Magari con l’esempio dei compagni hanno messo da parte l’anima ribelle. Faccio solo un nome: Mutu. In settimana magari lo cacciavo dall’allenamento, però in campo non ha mai tradito i compagni».


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