Pepito Rossi: "Quella tripletta alla Juve ha fatto la storia, non solo della Fiorentina"
A pochi giorni dal suo ritiro ufficiale dal calcio giocato, l'ex attaccante viola ripercorre alcuni momenti della sua carriera
Intervista su Tuttosport per Giuseppe Rossi, a pochi giorni dal suo addio al calcio giocato: «Ho sempre cercato, in tutta la mia carriera, di essere me stesso. Non ho mai amato, non sono mai riuscito a sopportare quelli che, prima di parlarti, si mettono una maschera di comodo.
Non sono così, non lo sono mai stato né mai lo sarò. In campo ho combattuto. Sempre, con ogni maglia. Ho provato a dare il meglio di me quando giocavo e, una volta finite partite o allenamenti, ho sempre fatto in modo che emergessero i valori umani, i veri punti fermi dell’esistenza di una persona.
Un calciatore è un uomo: credo e sono sempre stato convinto che fosse sbagliato scindere le due cose. Non bisogna concentrarsi solo su gol, assist, dribbling: se vuoi essere completo devi fare in modo che, di un atleta, riesca a emergere anche il lato umano, la persona che realmente è nella vita di tutti i giorni.
Spero e credo di esserci riuscito. Sono stato fortunatissimo: in ogni club dove sono andato, in Inghilterra, in Italia, in Spagna e pure qui negli Stati Uniti, ho trovato persone straordinarie e questo mi ha facilitato assai nel creare rapporti veri, autentici, non di comodo, non di plastica, non usa e getta».
QUELLA TRIPLETTA... «I tre momenti da podio della mia carriera di calciatore? Beh quella tripletta alla Juve non posso proprio lasciarla fuori: ha fatto la storia, non solo della Fiorentina ma della Serie A e non credo sia un’estremizzazione, un’esagerazione.
Indimenticabile è stato pure l’esordio in assoluto con la maglia del Man United: giocavamo a Old Trafford contro il Crystal Palace. Il primo pallone che mi arriva... l’ho lisciato! Non male come inizio in un impianto che tutti chiamano The Theatre of Dreams, il teatro dei sogni, davanta a 70 mila tifosi.
Ho pensato: “Porca miseria, così proprio no!” e ho iniziato a dannarmi, a correre come un ossesso, a ringhiare per recuperare immediatamente il possesso. Ci sono riuscito e sono arrivati i primi applausi: mi sono sentito sollevato.
Come lasciar fuori, poi, tutti i momenti clamorosi che ho passato con l’Italia, con l’Azzurro della Nazionale: è la maglia più pesante e pure quella più bella. Difenderla è stato il coronamento di un sogno collettivo: non soltanto mio, ma anche dei miei genitori.
Nella mia memoria è vivissimo il ricordo della reazione dei miei quando sono tornato a casa dopo la prima convocazione: i loro occhi sprizzavano immensa gioia, orgoglio infinito. Lì ho capito quello che significava quel momento per loro»ITALIA.
«Non lo nego, un po’ mi girano le scatole se penso che, con gli Azzurri, non ho mai preso parte né a un Europeo né a un Mondiale. Se ci penso, mi viene un filo di fastidio. Sono però riuscito ad accettare, a metabolizzare e a superare quelle delusioni: fanno parte della mia storia, del mio vissuto.
È qualcosa che non posso cambiare. Però, caratterialmente, più che guardare a quello che ho perso mi piace pensare a tutto ciò che ho guadagnato, ossia aver avuto la fortuna e il privilegio di rappresentare il mio Paese per 30 volte, di aver giocato con i più grandi campioni non solo della Nazionale italiana ma del mondo, di aver partecipato a un’Olimpiade che non è una cosa che capiti a tutti ogni giorno.
In pochi possono cullare nella propria anima ricordi così belli: in azzurro mi sono tolto soddisfazioni stupende». FUTURO. «Il futuro? Beh, lo shock di aver deciso di dire basta al calcio giocato, di aver metabolizzato che è arrivato il momento di cambiare vita, è freschissimo.
Non ho ancora le idee troppo chiare, ma su una cosa non ho dubbi: vorrei rimanere nel calcio, il mio mondo, che conosco a menadito avendoci passato quasi 30 anni. È l’unico mondo in cui mi sento realmente comodo, in cui posso essere me stesso, libero di pensare e di fare ciò che sento.
A me piace lavorare con i giovani perché ti ascoltano, ti seguono, ti rispettano: nessuno ti parla dietro. È splendido riuscire a trasmettere qualcosa ai ragazzi che possono utilizzare le tue parole e le tue esperienze per migliorarsi, per tentare di rendere realtà un sogno, quello di vivere di calcio, quello di sfondare nel football, di diventare un professionista».
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