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Palladino a piccoli passi: riparte dal 4-2-3-1. Serve un mix tra 1° tempo di Bergamo e ripresa con la Lazio

Il Milan è forse il peggior avversario da affrontare, ma il tecnico si affida all'assetto che dà più equilibrio

Il test finale prima della seconda sosta per le nazionali. La Fiorentina di Raffaele Palladino si muove a piccoli passi: ancora non si nota con evidenza l’identità di squadra, ancora non si vedono trame di gioco spesse e lineari.

Eppure il secondo ciclo di gare ha messo in evidenza alcuni fattori che è bene sottolineare, scrive La Repubblica. SEGNALI. Il primo tempo di Bergamo, probabilmente il migliore visto fin qui per approccio e qualità proposta, il secondo tempo con la Lazio che ha segnato oltre al ritorno in campo di Gudmundsson anche il passaggio alla linea a quattro in difesa con gli zero gol incassati nelle ultime due partite e mezzo (compresa la sfida di Conference).

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E poi quella rotazione di giocatori che al di là delle parole super entusiaste del tecnico non può certo soddisfarlo. Soltanto Adli e Richardson contro The New Saints hanno saputo cogliere la loro grande occasione. Troppo poco per una squadra che ha bisogno della profondità della sua rosa viste le competizioni che dovrà affrontare nei prossimi mesi.

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QUALITA'. Tra luci e ombre, insomma, la Fiorentina si muove verso la tappa di questa sera quando al Franchi arriverà il Milan, uno dei peggiori avversari possibili in questo momento per i viola a caccia di conferme. Il tempo per sperimentare è terminato e così Palladino, che nelle ultime gare ha ribadito il concetto di solidità difensiva, dovrebbe schierare nuovamente la sua Fiorentina col 4-2-3-1.

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Non è soltanto questione di modulo, ma è come se con questo assetto i viola avessero trovato maggiore equilibrio in ogni zona del campo. In fase difensiva, con due laterali che a turno si bloccano per mantenere compattezza, e anche in mezzo al campo con rottura e impostazione al servizio degli uomini d’attacco.

Tre alle spalle di Kean e il fattore “Gud” a irrompere in qualsiasi istante. Perché è la qualità a fare la differenza e la lingua universale del calcio mette tutti d’accordo. Da Dodo a Kean passando appunto per Gudmundsson: l’affinità cresce, il potenziale è ancora tutto da scoprire.


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