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Orsato: "Non siamo una casta ma una squadra che vuole far bene"

Il noto arbitro ha rilasciato una lunga intervista sul mondo arbitrale sempre al centro di tante polemiche

I figli, per Daniele Orsato, so’ piezz ‘e carriera. «Gabriel, il maggiore, ha esattamente gli anni del mio percorso in serie A, diciassette. Il più piccolo, William, è nato 13 anni fa, quando sono diventato internazionale». Scrive il Corriere dello Sport-Stadio.

Tu chiamali, se vuoi, festeggiamenti preventivi. Certo che uno Gabriel e l’altro William… (Ride di gusto). «Madonna... i nomi li ha scelti mia moglie, in casa noi uomini non decidiamo niente». In campo perfino troppo. «Conosco anche giocatori che in campo sono una cosa e fuori dal campo un’altra, tosti in partita, simpaticissimi e alla mano nella vita di tutti i giorni.

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De Rossi era uno che ti dava del filo da torcere, ma se lo incontravi fuori e ci facevi due chiacchiere scoprivi un ragazzo diverso... I calciatori di oggi sono più facili da dirigere. L’Inter di Mou, quella del triplete, aveva Cambiasso, Stankovic e quella meraviglia di capitano».

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Zanetti. «Vado nelle scuole a insegnare educazione alle regole e porto sempre l’esempio di Zanetti. Che mi diceva “Orsato, non si preoccupi, anche se ha sbagliato, vada avanti per la sua strada”». Nei 95 minuti non sembri particolarmente portato al dialogo.

«I miei figli guardano Messi e Lautaro, io sono cresciuto seguendo Agnolin. Personalità, autorevolezza, standing. Altri tempi: Gigi che prende il braccio di Maradona oggi non sarebbe possibile». L’interpretazione dell'arbitro regna ancora sovrana.

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«Non sono d’accordo. È vero che il regolamento favorisce la discrezionalità, ma a quello ci riferiamo. Abbiamo ottimi arbitri. Doveri, Massa... Massa è un grande arbitro. Se facciamo bene noi, diamo una mano anche ai più giovani.

Far parte della Can non significa esclusivamente fischiare». Forse la sala Var dovrebbe ospitare un ex calciatore professionista in grado di valutare meglio di un arbitro certe dinamiche, i contrasti, i contatti. «In sala Var c’è gente che ha diretto centinaia di partite e a tutti livelli, non avverto tutta questa necessità».

Undici anni senza Var e sei con. Eri tra i contrari all’introduzione della tecnologia. «Pensavo che avrebbe tolto e non aggiunto. Ero molto preoccupato. Mi hanno convinto Rosetti, il nostro project leader, Rizzoli e Rocchi. Oggi devo dirti che mi sento molto più sereno.

Quando ho Irrati al Var mi rilasso, ha un tono di voce e una sicurezza che ti tranquillizzano all’istante. L’altro giorno in Psv-Siviglia di Champions mi ha comunicato con decisione che c’era il tocco di mano, fattuale, overrule e gol annullato».

Classe o casta? «Cosa intendi per casta?». “Classe di persone che si considera, per nascita o per condizione, separata dagli altri, e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi”. «Quali privilegi? Siamo una squadra che ha voglia di far bene, tra noi discutiamo, ci confrontiamo».

Appartenete a un sistema che muove miliardi. Siete sottopagati in rapporto al movimento di denaro generato. Questo aspetto vi toglie autonomia? «Io sognavo di arbitrare a San Siro, di dirigere un derby di Milano, di Genova. Secondo te pensavo ai soldi?

Soprattutto in un periodo come questo poi… Vivo in un paese in cui c’è gente che non riesce a pagare la mensa scolastica dei figli, e mi parli di soldi».


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